La casa dalle finestre blu

Un pezzo a cinque mani ma non è una “sonata” .

Sull’intrigante introduzione del primo nodo di Claudio, il racconto si è sviluppato sempre più avvincente con il contributo di validi amici: Paolo, Salvatore e Daniele, fino alla conclusione ancora di Salvatore. Non potevo esimermi dall’illustrarlo.

Su 20lines.com è pubblicato il testo.

1 – Claudio Bovino

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La piccola casa dalle finestre blu sussurrava parole dimenticate. Il vento attraversava le fessure tra le assi del pavimento, scivolava sui lembi lacerati della carta da parati e usciva fuori, come il rantolo di un moribondo. Eco di vite perdute. Come tutte le mattine, Tom la guardava da lontano con inquietudine, passando col pick-up. Il cartello che aveva piantato nel giardino pieno di erbacce era ancora lì, “Vendesi – offerta imperdibile”. Appena distinguibile tra i rovi​ puntuti. Ma nessuno aveva chiesto di visitarla e forse nessuno sarebbe venuto a vederla. Quelli del paese tiravano dritto e se potevano evitavano proprio di passare per Moon Lane. Doveva sperare che qualche forestiero interessato a stabilirsi da quelle parti venisse attirato dal prezzo di vendita così basso e invitante.
Dietro la finestra del primo piano gli sembrò di scorgere il viso di Julie, i suoi lunghi capelli biondi, le labbra rosa, ma fu solo un attimo. Si accorse di avere le dita livide, a causa della forza con la quale stava stringendo i pugni. Scese dal pick-up. Nel silenzio del mattino avvertì come il rumore di qualcosa che raschia, come unghie che grattano sul legno, che scavano, lente ma senza sosta. Aguzzò gli occhi, ma dietro la finestra non c’era nessuno, solo la tenda pareva oscillare piano. Sul patio, il dondolo era immobile, le sedie vuote. Il rampicante appassito. Un rombo lo fece sobbalzare. Un auto stava risalendo la collina. Prese il cappello dal sedile e se lo calcò sulla fronte. Passò una mano sulla stella da sceriffo come a lucidarla e si mise in posa ad aspettare, con l’altra mano sulla cintura e il pollice dietro la fibbia da cowboy. Cupe nubi si avvicinavano da nord e incombevano sulla collina. Il vento portava già l’odore dell’erba bagnata. Presto avrebbe cominciato a piovere​. Di nuovo. Come quella notte.​​

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2 – Paolo Ninzatti

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Il blu metallizzato dell’auto sembrava voler essere in armonia con quello delle finestre della casa. Segno del destino? L’auto era una Mercedes con finestrini oscurati. Qualcosa gli fece sperare che quell’eurotrash a quattroruote tirasse avanti. Tom si meravigliò del proprio dubbio. Chi si poteva permettere un’auto europea doveva avere il conto in banca notevolmente imbottito. Dopo giorni di vana attesa era forse la volta buona per levarsi di torno quella bicocca dando un taglio al passato e a spiacevoli ricordi. Non che il prezzo invero modico fosse un’ostacolo, ma qualche forestiero avrebbe potuto ristrutturare la casa, farne un locale pubblico o che cazzo volesse. Tom visualizzò le finestre dipinte con un altro colore, mentre la Mercedes, contrariamente alle sue aspettative (e speranze sepolte) si fermò. Per un attimo ebbe la classica impressione che si prova davanti a una persona con gli occhiali da sole: quella di non poter scrutare l’espressione degli occhi. Un’auto il cui guidatore è celato alla vista sembra un essere vivente, senziente. Il sole si oscurò all’improvviso, celato da un nuvolone nero. Il blu dell’auto e delle finestre assunse toni cupi. Il bagliore di un fulmine ridiede un flash di luce al cobalto senza però conferire allegria. Il tuono che seguì fu la colonna sonora ai tragici ricordi che sembravano impregnare i muri della casa. Il blu dell’auto sembrò nero come i finestrini. Una scena ibrida tra un western, Edgard Allan Poe e un film di mafia. Tom, novello sceriffo Gary Cooper in “Mezzogiorno di Fuoco” attese l’entrata in scena di chi era al volante dell’auto. La portiera si aprì in sincronia con un nuovo fulmine la cui luce fece scintillare la stella da sceriffo donando al contempo uno spettrale pallore al bel volto della donna che, come Venere dal mare scese, dall’auto.

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 3 – Salvatore Stefanelli

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Veste rossa, lunghi capelli biondi e occhiali scuri. Le sinuose movenze di lei gli provocarono non pochi brividi lungo la schiena. Ma fu il suono della sua voce a dargli il colpo di grazia. Se fosse stato un altro, più pavido, sarebbe fuggito ma lui non lo era. Eppure, restò come paralizzato. Era lei. Ma, non poteva essere lei. La sua Julie era morta! L’aveva sepolta un anno fa. Un nuovo lampo. Il tuono che seguì squassò l’immobilità di quell’istante. Sobbalzò, allontanandosi dallo strano incubo che stava vivendo, dicendosi che c’era qualche differenza in lei.
– Salve. E’ in vendita, sa chi se ne occupa? – chiese la donna.
– Io… – rispose, esitando. – Venga dentro, gliela mostro, così evitiamo la pioggia in arrivo.
​La donna lo seguì senza esitare. Tom liberò il vialetto dai rovi, mentre avanzavano. Erano quasi giunti sotto il portico quando la veste rossa di lei s’impigliò tra le spine. – Mondo diavolo! – la sentì imprecare. Rabbrividì: la sua Julie lo diceva spesso e poi rideva di una limpida risata quando l’accaduto non era grave. Proprio come stava facendo lei. Si chinò, turbato, a liberarla. Una spina aveva lasciato il segno su quella pelle candida. Afferrando con dolcezza la gamba, baciò la ferita suggendone il sangue: – Non è nulla, Julie. Passerà presto – disse rialzandosi.
– Questo lo so anch’io! Ma non le sembra di stare esagerando? E poi, chi è questa Julie?
– Julie? L’ho chiamata così? – Lei assentì. – Julie era mia moglie. Questa casa le apparteneva. Quando è morta io non c’ero… da tempo. – La mente si perse nei ricordi. – Inseguivo la libertà di una diavolo travestita da puledra, i suoi crini neri… Ti amo ancora, Julie. – Si strinse alla donna e la baciò sulle rose labbra. Struggente bacio a cui lei sembrò non opporsi. Scrosci come lacrime. Lampi. Tuoni. E un tetro stridore, come di unghie sul legno. Incessante. Rabbioso.

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4 – Dino Rotoli

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Ma non durò molto. D’improvviso lei reagì come una fiera in trappola, gli graffiò il viso e con una spinta lo allontanò. – Non esagerare, stronzo. Non sono qui per questo e non sono Julie.
– Ma io non ho mai smesso d’amarti. – s’inginocchiò ai suoi piedi, cingendole il ventre che tante volte aveva posseduto. Ma lei reagì ancora con violenza, colpendolo con la punta della scarpa tra le gambe, centrando l’organo del suo orgoglio maschile. Poi con una voce, che sembrava diversa, tuonò tra i tuoni. – Mi fai vedere questa cazza di casa o no?
A lui la voce sembrava venire da lontano, vicino era solo il dolore lancinante. Era sul punto di svenire ma raccolse le forze, disperse dalla mente ormai sgretolata, e si rialzò cercando con le mani di fermare una fitta sacrilega e infernale. Riuscì anche a blaterare: – entriamo.
La porta era socchiusa. Dentro era buio. Anche con la porta spalancata il frastuono del temporale non si udiva.
Li davanti a lui, la mente visualizzò la scena che non era mai riuscita a smaterializzare. Dai gradini della scala di legno che portava al piano superiore, era sceso un serpente rosso: sangue di Julie. Nella penombra, vide che la scala si stagliò netta e le macchie scure del sangue si liquefecero. Di scatto si girò verso la donna.CASAnodo4B

5 – Daniele Picciuti

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Per un momento le iridi di lei parvero vermiglie, come se rimandassero il riflesso di quel sangue che aveva appena visto. Tornò a guardare la scala, la scia rossa era scomparsa.
– Sembri spaventato – disse la donna, allo stesso modo in cui Julie gliel’aveva detto la prima volta che avevano fatto l’amore, in quel boschetto vicino al lago. I ricordi lo schiaffeggiarono ancora.
Rivide se stesso mentre usciva di casa sbattendo la porta, dopo l’ennesima lite.
Riguardò i propri piedi che lo portavano in quel quartiere orrendo, tra le braccia di quella puttana rifatta. Ci aveva dato dentro con lei, con la rabbia addosso. L’aveva anche picchiata, era uno sceriffo e di certo non lo avrebbe denunciato.
Qualcuno avrebbe detto che era abuso di potere, ma per lui era solo una piccola eccezione alla regola. In fondo ne aveva sbattuti in galera a decine, di brutti ceffi. Non aveva di che pentirsi se di tanto in tanto faceva uno strappo alla regola.
– Allora? Mi fa vedere la casa o no?
– Certo – rispose, tornando a concentrarsi sul presente – e mi scusi. Io… non so cosa mi sia preso. Penserà che sono pazzo.
Lei esibì un sorriso sfrontato. Dio, se pareva Julie!
– Ma io so che tu sei pazzo – disse con noncuranza la donna – e sarà divertente vederti scoppiare.
– Co…come?
– Allora, vuole farmi strada? Ho visto che ci sono le finestre blu. Sembrano carine, vorrei guardarle da vicino.
Se le era forse sognate quelle parole? In silenzio annuì e la condusse di sopra.​

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6 – Salvatore Stefanelli

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La scala scricchiolava… No! Non era vero… La scala scricchiolava, come la sua mente. Quella donna l’inquietava e l’attraeva. La somiglianza con Julie, le stesse parole, la sua risata. Iniziò a notare cose nella realtà che non avevano nulla a che vedere con la realtà stessa. Barcollava nel salire le scale, dovette tenersi al muro. Sembrò lei mostrasse uno strano sorriso su quelle labbra turgide e rosa. Una folgore si accese negli occhi di lei e parve che la morte vi si riflettesse. Sudò freddo. Altri lampi, altri tuoni. Ombre e luci. Come quella notte. Cosa era accaduto allora? Non lo ricordava con precisione. [C’era stata la lite. La puttana, presa con forza. Aveva usato la pistola come un cazzo dentro la sua bocca, avvertito le palle gonfiarsi ma non ricordava nessuno orgasmo. Solo il buio. Si era ritrovato per strada, sentendo la pioggia sulla pelle, in ticchettii sulla pistola, sullo stemma di sceriffo. Si era incamminato senza una meta per ritrovarsi sotto il portico della casa di Julie. Lei piangeva. Bellissima come sempre. La desiderò. Lei lo respinse andando a chiudersi in camera. La testa dolorante. Le grida… di Julie, quando sfondò la porta.]
– L’apriamo la porta o devo solo immaginarla questa stanza? – ironizzò la donna. – Assassino!
Non poteva averlo detto, l’aveva immaginato. “Questa donna non può sapere niente.” Occhi chiusi, si rivide allora. [Julie corse via. La raggiunse sulle scale. La rabbia crebbe, il legno tuonò sotto i rimbalzi di lei. Il sangue. Il dolore alla testa, il vuoto… Qualcuno lo abbracciò in lacrime: – Julie… è morta. Le scale…]. Aprì gli occhi e vide le tende arancioni e le finestre blu. Improvviso, l’odore della pioggia, del sangue. Schegge di vetro conficcate nella carne. Il vuoto e la terra. Guardò verso l’alto un’ultima volta, gli occhi appannati dalla pioggia. La morte rideva tra labbra rosa e biondi capelli. La pioggia cessò come era arrivata e la casa tornò serena. In silenzio.

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