Glis glis 7

Si spostarono sui secondi, qua la loro conoscenza era migliore, forse anche perché cominciavano con carne, pesce…

  • Prendiamo pesce al forno e frittura di pesce. Mai assaggiati ora è il momento.
  • Va bene, prima o poi dobbiamo pure imparare a mangiare da bipedi quasi umani!  

La macchina impiegò qualche minuto in più rispetto al piatto di fragole, quando i due piatti furono pronti l’attesa fu premiata. I piatti erano ovali, uno presentava un grosso pesce nel suo sugo che friggeva ancora, emanava anche un buon odore. Anche la frittura di calamari e gamberi odorava e si presentava bene. La macchina aveva corredato i piatti di due bicchieri a calice, due forchette e due coltelli a lama corta. D ed M si guardarono, erano contenti e soddisfatti ma un poco di imbarazzo era dato loro dalle posate. Le conoscevano certo, le avevano viste tante volte, gli uomini del laboratorio mangiavano due o tre volte al giorno ma loro non le avevano mai usate.

Non si perdettero certo d’animo, erano abituati a sorprese peggiori, il fatto poi era quasi divertente per D, lo diventò di più quando M, per darsi un contegno, prese un gamberetto con una mano e lo portò alla bocca, divorandolo compiaciuta. Allora D disse:

  • Furba la mia compagna, non si cimenta con le posate! Vediamo come te la cavi con il coltello e la forchetta.

Molte erano le cose che dovevano imparare a fare in questa loro nuova realtà. La lunga preparazione avuta, nei laboratori, dava loro una discreta bravura ad affrontare qualunque novità, merito questo principalmente della loro evoluzione mentale, migliorata anche attraverso letture e esperienze psicologiche.

L’evoluzione mentale, prima fase del l’esperimento al quale erano stati sottoposti, aveva permesso loro il buon e veloce apprendimento della lingua parlata. L’unico ostacolo era stato l’uso corretto degli strumenti predisposti a tale evento cioè le labbra, la bocca e le corde vocali. Tutto il resto, la coniugazione dei verbi, la sintassi e l’uso delle regole grammaticali erano già state acquisite da muti, quando ancora non avevano un cavo orale adatto alla parola.

L’uso delle posate fu piuttosto difficoltoso ma la tenacia degli ex glis era ormai la forza per la sopravvivenza. Non avevano paura di provare qualsiasi cosa, questo poi era tra i meno pericolosi. Certo le spine all’interno del grosso pesce furono la tortura maggiore per le loro nuove bocche, quelli dei glis erano decisamente più robuste e adatte a qualsiasi cibo duro e pungente.

Da bere, malgrado una lunga liste di bevande, preferirono scegliere acqua semplice. Le altre bevande avevano aggettivi strani e a loro erano completamente sconosciute. Anche il bere dal bicchiere comportò qualche problema di sbrodolamento.  Dopo il pranzo, rimasero un poco a parlare seduti sul divanetto.

Dopo, eliminati i piatti e le stoviglie nel distruttore, lasciarono la stanza.

Nella stanza del cilindro decisero di fare alcune ore di irraggiamento, così come era stato suggerito dalle istruzioni del computer.

Il cilindro non aveva porta. M suggerì di chiederlo al computer ma D si oppose dicendo che se non fossero in grado di risolvere da soli problemi così semplici, avrebbero avuto gravi problemi di sopravvivenza in futuro. Girando intorno al cilindro trovò un piccolo tasto, che si distingueva solo per una sfumatura più chiara dello stesso colore grigio del cilindro. Premendo questo tasto, l’intero cilindro metallico si elevò, sparendo quasi tutto nel soffitto, lasciando evidente una pedana con una sedia con un bracciolo provvisto di pannello di comando. D si sedette e lesse la descrizione dei pulsanti. Un pulsante starter, un pulsante di emergenza, un contatore per ore e minuti. Sull’altro bracciolo era predisposta una placca d’identificazione, composta da un sensore analizzatore sul quale bisognava poggiare la mano prima della seduta.

D cedette il posto a M, l’istruì sull’uso e le consigliò il tempo di un paio d’ore, per cominciare con moderazione.  Quando il cilindro ritornò a posto, D rimase sorpreso perché la radiazione che pioveva dall’alto rendeva visibile la compagna e, da come lei lo guardava, si accorse che il cilindro diventava trasparente durante l’uso. Urlò verso M:

  • Mi vedi anche tu?

M rispose con molta calma e, come al solito, con un pizzico d’ironia.

  • Ma che urli. Non vedi che siamo molto più vicini del solito!
  • Meglio così. Non siamo in pieno isolamento ed è più sopportabile il passare del tempo.
  • Per me va benissimo. E’ come star fuori, per modo di dire!
  • Vivere in questo alloggio potrebbe comportarci qualche problema. Stabiliamo un programma con priorità e scadenze precise. Disse D.
  • Il solito freddo analizzatore e programmatore! 
  • Scherza pure, mia cara, ma non credo che abbiamo molto tempo, la situazione è precipitata d’improvviso e il futuro è imprevedibile. Aggiunse D con determinazione.   
  • Forse hai ragione, ma non essere assillante, sei tu il tecnico. Proponi.
  • La mattina…M lo interrompe.
  • La mattina? Hai dimenticato che siamo sottoterra, il nostro tempo è falsato, non abbiamo riferimenti esterni.
  • Questo lo so. Anche nel bosco laboratorio il giorno era scandito dalla luce della cupola, cioè senza riferimenti astronomici. Ho letto, non mi ricordo quando, che anche nelle città umane, protette dalle cupole, il giorno e la notte era stabilita dal variare della luminosità artificiale. Malgrado la trasparenza delle cupole le condizioni disastrose dell’atmosfera terrestre non permettevano una precisa scansione del tempo. Il buio e la luce non caratterizzavano più la notte e il giorno. Fenomeni magnetici ed elettrici dell’atmosfera, satura ormai di gas vari, determinavano periodi di buio totale e periodi di continua luminescenza, dovuta a scariche elettriche e a incandescenza di gas combustibili. E questi fenomeni, ovviamente, non erano regolari nel tempo.
  • Sì, hai detto bene questa è una specie di tana, non vedo luminescenza possibile che indichi il giorno.
  • Nemmeno io vedo questo che tu dici. Ma il problema è grave. Come esseri viventi, per giunta umani o umanoidi qual siamo, alla nostra esistenza biologica è necessaria una scansione temporale di ventiquattro ore, giorno e notte. Per cui bisogna trovare assolutamente la soluzione.

Per un poco rimasero in silenzio, D pensava al modo di risolvere il problema dello scandire le ore, forse era necessario solo una regolazione della luminescenza nell’alloggio.

Si avvicinò al computer, ma in quel momento il cilindro si alzò, lasciando libera Emme di uscire. D la guardò: il pelo grigio era stato sostituito da una pelle leggermente di colore bruno. Come se fosse abbronzata.

  • Queste ore sono volate, credo che possiamo anche provare tre, quattro ore. Disse Emme uscendo dal cilindro e, vedendo D al computer, continuò – Ma che fai ora al computer, non tocca a te l’ora nel cilindro?

D rispose: – Sì. Così perderò anch’io il pelo.

  • Quale! … Cosa?
  • Guardati le gambe. Il cilindro ha modificato l’esterno del tuo corpo, rivestendolo di pelle umana.
  • Dopo non ti dimenticare del cilindro, io vado un poco in palestra.
  • Entro subito, così perderò anch’io il pelo.
  • Tu stai diventando una donna del passato, lo sai che nel duemila la palestra era una fissazione dell’umanità, principalmente per le donne. Questo accadeva qualche decennio prima che la scienza riuscisse ad intervenire, in maniera completa sull’organismo umano. Così anche questa moda passò.

Emme puntò contro di lui prima gli occhi e poi il dito indice, a mo’ di pistola, si avvicinò e gli disse con voce roca:   

  • Attento, ricordati che nello stesso periodo le donne diventarono anche violente nei confronti del maschio maschilista.
  • Calma donna, la mia era solo un ricordo storico, non avrei mai osato ferirti!
  • Ah! Bene.

Emme con il dito gli carezzò prima la guancia poi si girò allontanandosi.

Il contatto del dito ebbe uno strano effetto, per la prima volta si sentì eccitato. Non molto ma tanto da notarlo. Lui sul sesso umano sapeva tutto, si era molto documentato sempre per la sua curiosità di sapere. Era la prima volta che si sentiva così. Nei primi incontri con M si erano scambiate affettuosità ed abbracci ma lui, tranne uno stato di allegria e di gioia, non aveva percepito reazioni fisiche specifiche.

Nel cilindro, si distrasse facilmente dal suo stato perché aveva notato anche l’ironia di Emme, strano pensò, forse gli umani avevano programmato anche l’ironia per loro. Lui e Emme si erano sviluppati poi evoluti ed istruiti in laboratori diversi. Come mai avevano in comune l’ironia? Lui ricordava la sua ironia fin dall’inizio dell’evoluzione. Come mai già l’aveva? Non volle pensarci molto, aveva problemi più importanti. Però gli balenò una soluzione semplice forse i glis erano ironici. Non approfondì il concetto ma forse aveva ragione.

La natura scherzosa e giocoliera a tutte le età dei glis era rimasta intatta nell’evoluzione con l’acquisizione della parola si era trasformata nell’ironia.

Quando uscì dal cilindro si guardò la gamba senza peli con una pelle leggermente più scura di quella di M.

D aprì le opzioni del computer e riuscì a trovare quelle relative all’alloggio ma non trovò quelle della luminescenza, ovvero le trovò ma solo come regolazione d’intensità. Provò a creare un collegamento tra l’orologio e la luminescenza.

Dopo alcuni errori, quello più eclatante fu la totale eliminazione della luminescenza per fortuna per pochi secondi, riuscì e regolare la luminescenza. Fece una prova a mezzanotte diminuiva molto, alle dodici del giorno successivo riprendeva la piena intensità. Fu molto soddisfatto di aver risolto il problema, pensò di comunicarlo subito a M raggiungendola nel locale palestra.

  • Ci sono riuscito. Ho collegato l’orologio con la luminescenza.
  • Me ne sono accorta. Bravo stai migliorando.
  • Te ne sei accorta…e come?
  • Prima c’è stato un blackout, ho capito che eri stato tu. Dopo un poco la luminescenza è arrivata al minimo e poi si è stabilizzata normale.
  • Sì, è così. Non ti sfugge nulla. Brava anche tu. Ne hai ancora per molto?
  • Ho appena incominciato. Lo sforzo è minimo, lasciami pedalare ancora un poco.
  • Pedala tutto il tempo che vuoi, io vado ad istruirmi un poco.

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