Il testo (ridotto) è ricavato da “Una pagina al giorno” di Daniele Conventi.
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Gabino ripone gli strumenti, prende in mano la torcia e mi guarda come se la risposta fosse ovvia, poi alza il prezioso bastone per attirare l’attenzione su di se.
<< Seguitemi>> ordina << il fuoco non durerà a lungo>>.
Procediamo nel cunicolo sulla sinistra seguendo la torcia di Gabino. Mi sento come una falena.
La luce rende tutto più semplice. Continuiamo ad avanzare, toccando le pareti con una mano, giusto per sicurezza. È più facile evitare di pestare punte e schegge, ma preferiamo comunque non andare troppo spediti. Il tunnel si piega su se stesso un paio di volte, si dirama in biforcazioni, si trasforma in piccole grotte. Gabino ci guida, sempre in testa. Ha qualche esitazione, di tanto in tanto, ma sembra sapere la strada.
Ci fermiamo solo dopo essere giunti all’ennesima grotta. È grande abbastanza da poter ospitare almeno una ventina di persone. Tutto intorno a noi cunicoli e gallerie bucano le pareti..
Da alcuni dei passaggi si sente un suono continuo, flebile simile a quello di acqua che scorre. Dalle stalattiti l’acqua gocciola con frequenza, formando conche piene di liquido fresco.
<< Fermiamoci qui>> ordina Gabino << Io devo riflettere. Voi dovete riposarvi>>. Detto questo spegne la torcia con un panno..
Io mi dirigo verso le pozze d’acqua cercandole con la mano. Il buio è fitto, completo. Trovo una pozza vicino a uno dei passaggi. Me ne accorgo perché sento un alito di vento sfiorarmi e un suono farsi più forte. È una specie di rumore continuo, indecifrabile. Bevo portandomi l’acqua alla bocca con entrambe le mani. E’ fredda, talmente piena di calcio da poterne sentire il sapore in bocca.
Cerchiamo di dormire. Sento qualcuno russare, qualcuno sussurra in un linguaggio a me sconosciuto. Qualcuno cammina in cerca di qualcosa. Qualcuno batte i denti dal freddo. Abbiamo le coperte, ma qui sembrano inutili come se fossero di seta sottile.
Io non dormo. Ho le gambe doloranti e sento il corpo in preda ai tremori del freddo. La testa mi gira e più di una volta rischio di rimettere quel poco di acqua che ho nello stomaco. Mi concentro su pensieri rilassanti, su immagini di luoghi caldi e solari. Chiudo gli occhi e svengo.
Un frastuono. Miliardi di voci acute che parlano all’unisono.
Sono cosciente, ma non capisco se ho gli occhi aperti o chiusi..
Il suono acuto e continuo sovrasta ogni rumore.
<< Che cos’è? Cosa sta succedendo?>>.
<< La montagna ha fame>> mi risponde il sacerdote, preoccupato.
<< Non mi sembra il suono di un terremoto!>>.
<< Terremoto non ti spolpa fino alle ossa>>.
Sudore freddo. Sento del sudore freddo scorrermi lungo la schiena. Il mio sangue gela. E’ una buona notizia. Se può gelare vuol dire che è ancora caldo. Ultimamente iniziavo a dubitarne.
<< Dobbiamo preoccuparci? >>.
Gabino ci mette un po’ a rispondere: << Spero di no. Il suono è lontano. Le gallerie lo amplificano, ma è più lontano di quello che sembra. Dovrai farci l’abitudine. La montagna ha spesso fame, ma si accontenta di se stessa o di chi è troppo imprudente>>.
Aspettiamo pazienti che il rumore svanisca. Scema lentamente dopo essersi fatto, per un momento, ancor più acuto. Poi torna il silenzio.
<< Andiamo >> ordina Gabino facendo scintillare un paio di volte le pietre focaie accendendo la torcia.
Il sacerdote, torcia alla mano, osserva attentamente tutti i passaggi..
<< Di qua>> afferma a un certo punto, indicando un cunicolo basso e stretto. Lui è costretto ad accucciarsi e camminare carponi per procedere, io devo solo piegare la schiena, ma ci accucciamo tutti come lui, per maggior sicurezza.
Continuiamo così per circa trecento passi prima di vedere il passaggio allargarsi. Ci alziamo a tastoni, aiutandoci l’un l’altro.
Qualcuno, alzandosi, scivola per un attimo. Piccoli sassolini rotolano. Li sento rimbalzare. Dei leggeri tic poi nulla per qualche secondo. Tuc. Il suono attutito di qualcosa appena caduto.
Gabino punta la torcia verso il suono. Di fianco a noi si presenta un dirupo. Il pavimento di pietra naturale sembra essere franato lasciando spazio al vuoto e a una caduta di almeno una trentina di metri.
<< Questa prima non c’era>> commenta il sacerdote allontanando tutti con il semplice gesto di una mano. << Mano sul muro opposto!>> ordina << Vi voglio tutti sul lato opposto!>>.
Riprendiamo a camminare con più cautela. Gabino passa la torcia ad uno dei cacciatori dietro di noi. Non vuole rischiare. Avrà meno visibilità davanti, ma la luce arriverà più facilmente anche a quelli più indietro.
Sento sassolini precipitare di sotto a ogni passo. Qualcuno bisbiglia una litania. Credo sia una specie di preghiera. Chissà per cosa sta pregando.
Ci raggruppiamo a qualche metro dalla fine del dirupo, in un punto abbastanza vicino da controllare che tutti ci raggiungano, ma abbastanza lontano da non intasare il passaggio. Cacciatori e cacciatrici mi passano affianco, mentre osservo avvicinarsi Giulia. Voglio accertarmi che arrivi sana e salva. Non sembra avere grossi problemi. Poi sento il rumore di un crollo.
Un pezzo di costone crolla nel vuoto. Un paio di cacciatori, in un istante, si ritrovano senza il terreno sotto i piedi. Uno dei due cade nel vuoto. Il suo urlo arriva come il tuono, a qualche secondo di distanza dal momento della caduta, nel momento stesso in cui si accorge di cosa sta succedendo. Il suo amico è più veloce, o forse solo più fortunato. Si aggrappa al bordo ancora integro. Si aggrappa con tutta la forza che ha, spingendo sull’ultimo tratto delle falangi.
Giulia è lì vicina, abbastanza lontana da non essere coinvolta. Li la luce arriva soffusa, ma riesco a vedere il suo volto, i suoi occhi. Ne capisco le intenzioni.
<< No!>> le urlo scattando verso di lei.
Giulia sta correndo verso l’uomo in difficoltà. Vuole dargli aiuto. Allunga il braccio verso di lui. Gli prende il polso e cerca di sollevarlo, ma è troppo pesante. Non ci riesce. La vedo sforzarsi mentre il peso dell’uomo la fa protendere troppo verso il baratro. Non posso aiutarla. Sono sul margine più vicino, ma sono comunque troppo lontano anche solo per allungare la mano. Giulia si sporge ancor di più, mentre l’uomo cerca di impuntarsi con i piedi sulla roccia, di cercare un appiglio su cui far forza. Lentamente si solleva, mentre lei lo tira, allontanandosi dal bordo. Lo lascia solo quando l’altro è salvo, disteso sull’altro margine, lontano dal resto del gruppo, ma almeno non è in fondo al precipizio. Lancio un sospiro di sollievo. Sento un altro rumore. Un altro pezzo di roccia che crolla. Qualcuno che grida << No!>>. Non riesco a capire chi è. La voce rimbomba e sembra lontana. Un forte vento mi investe. Sotto di me il nulla.
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