Noi non possiamo morire – capitolo undicesimo

Il testo (ridotto) è ricavato da “Una pagina al giorno” di Daniele Conventi.

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Camminiamo per altri quattro giorni seguendo la spiaggia. Ogni giorno ci accampiamo sulla sabbia. Li vedo montare quella specie di “stendino” d’ossa e poggiarci sopra una specie di pezza strana, nera.  Il secondo giorno sono andato a vedere meglio. La pezza è un intreccio di capelli.

<< L’acqua di mare evapora con il caldo>> mi ha spiegato Gabino, vedendomi curioso. I capelli assorbono parte del vapore. In qualche modo recuperiamo un po’ d’acqua bevibile.>>.

La sua è una tecnica piuttosto primitiva di distillazione. Immagino che per lui sia un vanto conoscerla.

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Nei giorni seguenti ho provato ad affrontare di nuovo la questione “Oasi”.

<< Com’è li? Perché fai tutto questo?>>.

Gabino mi ha guardato confuso << Credevo ne avessi già parlato>>.

<< Si. Dubito, però, che tu sia stato sincero>>.

<< Allora è inutile che io ti dica altro. Non mi crederesti. Oasi è protetta. E’ tetto per tutti. E’ cibo, acqua. E’ una vita degna. E’ speranza. E io faccio tutto questo perché il mio credo è nato per diffondere speranza>>.

<<Il tuo culto…chi lo comanda?>>.

<<La Morte ci ha mandato due suoi Figli. La femmina ci ha dato la casa, del cibo. Il maschio ci ha dato la parola per diffondere la speranza. La femmina è tornata dalla Madre inverni fa. Ora ci comanda il Figlio.>>.

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Dopo la spiaggia, siamo tornati sulla terra. La pioggia ci ha fatto compagnia a giorni alternati.

Durante un giorno di pioggia battente e impetuosa, mi sono accorto che stavamo fiancheggiando un villaggio. Nessuno dei predatori ha dato segno di intenzioni belliche. Ci hanno squadrati, indecisi sul da farsi, per poi lasciarci andare via. Il numero ci ha fatto da scudo, almeno con loro.

Giulia non mi ha parlato per tutto il tempo.

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Il mio malessere non passa. So che rifiutando il poco cibo che abbiamo la mia condizione non migliora. Non sento fame, non posso morire (non ancora) anche se resto debole, lo so.

Quasi ogni notte sono costretto ad alzarmi e allontanarmi per tossire. Sputo sangue a fiotti ed è sempre più nero e denso. Alcune macchie sono diventate più grandi. Delle volte faccio fatica a respirare. Ho le vertigini. Sensazioni e malesseri di un’altra vita, di una vita più umana. In altri tempi ne sarei rimasto spaventato. Ora sono solo segnali di una lunga e tortuosa strada che sta per terminare.

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Ogni giorno di marcia, vedo quella che un tempo era una semplice striscia dell’orizzonte diventare montagne. Roccia e terra si staglia sempre più alta, imponente, davanti a noi..

<< La direzione è giusta?>> chiedo a Gabino.

In risposta l’uomo mi indica una delle montagne << Lì>>.

<< Dobbiamo scalare? Salire sopra la montagna?>>.

Mi fa segno di no con la testa << c’è un passaggio. Difficile da trovare, nascosto. Io però lo conosco. Solo…>>.

<< Solo…?>>.

<< E’ pericoloso>> mi risponde, prima di dare l’ordine di fermarsi.

Tutti si fermano e rimangono in attesa.  Gabino, dal centro, tutti lo possono ascoltare, vederlo in volto e gesticolare.

<< Siamo quasi arrivati a destinazione. Passeremo nella roccia. C’è una strada. Finita quella, vedrete l’Oasi e sarete benedetti dal Figlio che ci guida. La strada che ci attende, però, è pericolosa. Dovete seguirmi, fare quello che vi ordinerò. Saremo al buio, ma i Figli ci hanno donato la luce per quando ne avremo bisogno>>.

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La montagna di fronte a noi ci sovrasta. Continuiamo ad avanzare mentre il terreno si fa sempre più ripido costringendoci, dopo poco, a rallentare e ad aiutarci con le mani. Rocce e massi franati sono disposti lungo tutto il pendio.

Gabino mi aiuta a salire. Il percorso è sempre più ostico e la strada sdrucciolevole. Vedo solo un muro di pietra nuda. Nessuna entrata.

<< Sei sicuro che sia qui?>>.

Gabino guarda avanti, concentrato.

<< Sono sicuro. Non è la prima volta che uso il passaggio. Ho buona memoria>>.

Non abbiamo ne corde ne rampini, ma iniziamo a scalare. Sfruttiamo gli appoggi naturali seguendo passo passo i movimenti di Gabino. Io salgo, ma con lentezza e con fatica.

La scalata non è così lunga. Forse trenta metri, forse poco di più. Ci fermiamo su un piano di roccia.  Non c’è altro. Un piano vuoto, una piccola grotta in penombra e basta.

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Cerco un’apertura mentre prendo fiato e mi massaggio le gambe. Ho i muscoli indolenziti e il fiatone. Sono l’unico in queste condizioni.

Gabino raggiunge una delle pareti vuote della grotta, vi poggia una mano contro ed inizia a camminare mantenendo il palmo sulla roccia.  Si ferma dopo pochi passi, dal modo in cui tocca, credo che abbia trovato una fessura. Vi infila le dita e comincia a spingere. Gabino chiama a raccolta un paio dei suoi proseliti e indica loro di aiutarlo a spingere. Continuano ad allargare la fessura fino a quando non si forma un’apertura abbastanza larga da far passare un paio di persone.

Iniziamo a entrare. Mi fanno passare per primo, per ultimi Giulia, Gabino e i due proseliti che lo hanno aiutato.

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Appena lasciano andare la pietra, dietro di noi il passaggio si chiude, lasciandoci nel buio.

<< Mettete la mano destra lungo la parete>> sussurra il sacerdote, mente l’eco trasforma la sua voce in un rombo.

Lo sento muoversi verso il resto del gruppo. Quando ha finito lo sento tornare al mio fianco.

<< Controllavo che tutti poggiassero la destra. Non tutti la sanno distinguere>> poi inizia a battere i piedi sulla roccia. Il rumore è attutito ma i calli dei piedi sono abbastanza duri da far rumore. << Seguite miei passi>> ordina al resto del gruppo, prima di iniziare a camminare.

Ci addentriamo nel passaggio camminando nel buio più completo. La nostra unica bussola è la parete e il suono dei nostri passi. Dobbiamo evitare le piccole rocce aguzze e le stalagmiti più basse. Spesso il suono dei nostri passi si mischia ai mugolii di dolore di qualcuno dei nostri che ha avuto la sfortuna di trovarsi con un piede bucato.

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Una tenue luce interrompe la routine. Un foro sottile, un filo  di chiarore. E’ qualcosa di tenue che a malapena riesce a farsi spazio nelle tenebre, ma ai miei occhi è quasi accecante.

Riesco a scorgere Gabino davanti a me. Ha entrambe le braccia allargate. Una è rivolta verso il muro, l’altra si estende a sinistra, verso il vuoto, come a cercare qualcosa.

<< Cosa stai cercando?>>.

<< Altra parete>> mi risponde tranquillo << Quando riuscirò a toccare una parete anche con la sinistra, vorrà dire che siamo al primo bivio. Guarda. Riesci a vedere?>>.

Mi indica un punto oltre il filo di luce. A malapena rischiarato, intravedo un bivio.

<< Fermi tutti!>> ordina Gabino. La sua voce rimbomba nella roccia rendendo ancor più perentorio il suo comando.

<< Non ricordi la strada?>>.

<< Io ricordo. Ma non possiamo più andare avanti nel buio>>. Mentre parla, lo sento frugare sotto la veste. Tira fuori qualcosa. Sembrano dei piccoli bastoni.

<< Tieni, reggi>> mi ordina, poi torna a frugare sotto la veste. I bastoni sono coperti di cuoio e qualcosa di strano. Tira fuori due pietre. Le fa sfregare tra loro. Delle scintille emergono del buio. Quattro lampi, poi la luce, il calore. Il fuoco scoppietta sopra la torcia rudimentale.

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