Il testo (ridotto) è ricavato da “Una pagina al giorno” di Daniele Conventi.
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Noi non possiamo morire
Nono episodio
Il sole è già scomparso quando, finalmente, ci fermiamo.
Abbiamo fatto tutto il tragitto in compagnia dei predatori che ci hanno salvato. Sono in dodici, armati e decisamente più in forma di me e Giulia. Il loro capo, sembra il più temibile. Sotto quella veste di pelle si intravede un fisico a malapena intaccato dalla carestia, come se avesse sempre mangiato regolarmente.
Da come ci trattano non sembra che ci abbiano salvato per qualche tipo di guadagno. Sono amichevoli e se volevano mangiarci, saremmo già stati spolpati senza problemi.
Io e Giulia ci ritroviamo a stare mano nella mano, quasi per confortarci.
Il tragitto si è svolto in un clima di silenzio e rispetto. Nel buio della notte, nessuno ha mai superato il capo e mai ha osato guardarlo in volto. Così ho fatto anch’io.
Il luogo dove ci accampiamo è una grande spiaggia. La sabbia si estende per chilometri. L’odore di salsedine è talmente forte da farsi sentire, un paio di chilometri prima. Lo sciabordare del mare è lento, tranquillo, rilassante. L’acqua è una distesa nera e sembra quasi inchiostro.
Riesco, con un po’ di fantasia, a vedere i bagnati giocare a palla o con i racchettoni, le ragazze distese a prendere il sole. I suoni e le immagini evocate da questo posto sono lontane, sembrano fantasmi. I ricordi di un vecchio. Ora non c’è nulla, solo sabbia e mare per chilometri. Una distesa arida e salata. Neanche l’immondizia, lasciata dai più incivili, ha lasciato tracce. Anche quella è degradata, scomparsa.
Giulia guarda il mare meravigliata. Forse non ha mai visto una distesa d’acqua così vasta. Con passo malfermo si dirige verso il bagnasciuga. Vuole bere. Il capo dei predatori, le pone una mano sulla spalla e la blocca.
Giulia urla spaventata, lanciandogli contro epiteti e minacce. Il capo la lascia andare. Credo stia ridendo. La ragazza mi raggiunge. L’abbraccio.
<< Giulia, quell’acqua non si può bere. Fa male>>.
<<Male?>> mi chiede, non capendo cosa possa esserci di male a bere dell’acqua.
Non ha tutti i torti. Abbiamo bevuto di tutto.
<< Ti fa stare male. Ti fa venire ancora più sete>>.
<< Acqua fa venire sete?!>>
<< Quella sì. Lasciala stare>>.
Ci sediamo sulla sabbia. E’ morbida, ancora tiepida, decisamente più comoda di molti altri posti in cui abbiamo dormito.
<< Tua donna ha sete?>> mi chiede all’improvviso il capo dei predatori.
Faccio cenno di sì, poi, dubbioso che mi abbia visto, rispondo a voce.
L’uomo si avvicina e mi porge un grosso otre di pelle prendendolo da sotto la veste. Alla sua presenza, Giulia si gira verso di lui con aria di sfida. L’uomo sorride.
<< Tua donna molto forte. Guerriera nata >>.
<< Non è mia donna >>.
Bevo anch’io.
Ho l’impressione che l’uomo mi stia squadrando. Il cappuccio rende impossibile vederlo in faccia ma ne sento comunque lo sguardo.
<< Chi sei?>> gli chiedo << Perché ci aiuti?>>.
<< Preferivi ti lasciassi alle bestie?>>.
Scuoto la testa per dire di no e dico: << Non intendevo quello. Ti ringrazio per averci aiutato >>.
Lui accenna un sì con la testa << Capisco>>. Guarda Giulia, poi guarda me << Perché voi viaggiate insieme? Lei no tua donna, giusto?>>.
<< Meglio viaggiare insieme a qualcuno che da solo. Hai un nome?>>.
<<Gabino>>.
<<Io Giulia>> interviene lei presentandosi <<lui Angelo>>.
<< Loro non hanno nome>> Gabino, con un gesto del braccio indica il resto del gruppo << Se volete, potete seguirci>>.
<< Noi andare Oascii>> aggiunge Giulia con decisione.
Gabino ci guarda entrambe per qualche secondo, sorride.
<< Abbiamo stessa meta. Torno a casa >>.
L’alba mi trova sveglio. Mi sono svegliato quando il cielo era ancora una distesa scura, poi il sonno non ha più fatto un accenno di voler tornare. Sono rimasto disteso sulla sabbia, cercando le poche stelle ancora visibili e pensando a Gabino, a quello che ci ha detto. La luminosità del sole si diffonde tra lo smog del cielo. La luce mi entra negli occhi. Vorrei poterli coprire con il braccio, ma non posso. Giulia sta dormendo affianco a me, con un mio braccio come cuscino. Ha sempre avuto il sonno leggero e ogni mio movimento potrebbe svegliarla. Sono sicuro che oggi non sarà un giorno di riposo. E’ meglio che lei dorma il più possibile.
Chiudo gli occhi, è l’unica cosa che posso fare per proteggerli dal sole, e torno sulla scia dei miei pensieri.
Gabino ci ha raccontato di essere un “adepto del grande sonno”, praticamente una specie di sacerdote. Venera la morte come se fosse una dea benevola e amorevole.
<< Lei ha mandato da noi suoi occhi, sue mani, sua voce sotto forma di carne, per guidare persone lungo retta via da lungo dimenticata>>.
<< Tu visto dei?>> aveva chiesto Giulia piena di meraviglia.
Gabino, con un cenno del capo, aveva dato conferma.
<< Io visti. Io conosciuti. Loro hanno mandato me in viaggio. Devo diffondere la parola e permettere a chiunque voglia di unirsi a noi>>.
Quest’uomo è una specie di prete in cerca di novizi. Non mi aveva stupito il fatto che qualcuno si fosse messo in testa di creare una specie di civiltà eleggendosi dio. La fede è un’arma potente ed è sempre stata usata per facilitare il comando. Ma la fede richiede dei miracoli e sono poche le cose che possono essere viste come miracoli, in un mondo come questo.
<< Come fai a sapere che sono dei?>> gli chiesi incuriosito << Cosa hanno di speciale?>>.
<< Loro hanno l’amore della dea. Loro possiedono il grande sonno>>.
Rimasi qualche istante interdetto. Non volevo elaborare il significato della frase, nonostante mi risultasse di un’ovvietà palese.
Ancor adesso, con gli occhi chiusi e un cielo in lento schiarimento, continuo a ripetermi quella frase nella mente.
(“Possiedono il grande sonno”). (“Possiedono il grande sonno”).
<< Loro possono morire>> sussurrò.
Un colpo di tosse che mi costringe a inarcare la schiena. Un secondo colpo, un terzo. E ad ogni colpo sputo sangue.
Giulia si sveglia agitata. Pensa che io stia soffocando, prova a liberarmi la gola ma riesce solo a farmi mancare ancor di più il respiro.
Il resto del gruppo si sveglia. Gabino si avvicina. Mi guarda tossire, nota il sangue. Neanche lui sa cosa fare, ma a differenza di Giulia non rimane fermo.
Non ho modo di capire cosa stia facendo. Troppo occupato a soffocare. Mi lacrimano gli occhi e sento un senso di confusione. Per un attimo dimentico chi sono, poi mi riprendo ed è tutto finito. Lentamente apro gli occhi. Pulisco le lacrime con una passata di braccio. Prendo un gran respiro. Poggio una mano sulla testa in preda a un’emicrania martellante. Passerà, lo so.
Intorno a me la situazione è cambiata. Giulia sembra spaventata ma sollevata. Gli altri mi sono intorno, vicini. Uomini e donne sono genuflessi in mia direzione, la testa poggiata a terra. Gabino, davanti a loro, é in ginocchio, capo chino, sguardo a terra.
Lo sento mormorare, ma non riesco a sentire.
<< Cosa…cosa stai dicendo?>> gli chiedo con la testa che ancora mi ronza e mi rende difficile pensare.
<< Figlio>> mi risponde << mano, occhi, voce della dea…figlio della morte>>.
Un coro si eleva dagli altri: << Figlio! Figlio! >>.
ffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffffff
L’ha ribloggato su Daniele Conventi autore.