Una pagina al giorno – ottavo episodio

Il testo (ridotto) è ricavato da “Una pagina al giorno” di Daniele Conventi.

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Noi non possiamo morire

Ottavo episodio

Camminiamo per giorni, da quando ci svegliamo fino a quando il sole raggiunge lo zenit. Alcune volte ci fermiamo prima.

Io continuo a zoppicare. Giulia è stanca. Si è sobbarcata il mio peso per tutto il tempo della fuga e fino al mio risveglio. Probabilmente ha dormito poco per paura di essere presa di nuovo.

Ora dorme più tranquilla. Si agita ogni tanto, in preda alla fame, ma la lascio dormire mentre io mi sobbarco la maggior parte dei turni di guardia.

Immagine 1

La vedo cambiata. Mi fissa spesso. Lo fa con uno sguardo strano, intenso. Questo mi riempie di angoscia. Comincio a credere che lei mi abbia mangiato. Non so quando, se durante la prigionia o durante la fuga. Mi ha mangiato. E questo cambia tutto.

Ho visto questo sguardo fin troppe volte. Quante altre ho visto letteralmente impazzire, impossibilitate a mangiare? Quante volte mi sono svegliato divorato e solo, lasciato alla mercé di chiunque passasse, come una pietanza su un vassoio?

Temo che sia fin troppo vicino il momento in cui sarò costretto ad abbandonare un’altra compagna.  Non riesco a prendere sonno. L’osservo dormire, tremante abbracciata a me. Mi addormento per pochi minuti,  avere i suoi denti così vicini e sentire il suo alito sul collo mi fa svegliare di soprassalto.

Immagine 2

Verso il quarto giorno di cammino, finalmente, scorgiamo una fonte d’acqua. E’ un piccolo fiumiciattolo quasi disseccato e dal colore malsano, ma beviamo come se fosse una fonte pura e fresca.

Immagine 3

Nelle vicinanze sentiamo dei rumori. Sembrano ringhi. Ci blocchiamo d’istinto. Ci voltiamo.

Un branco di folli si muove al limite della mia visuale. Io e Giulia ci abbassiamo il più possibile e cerchiamo di indietreggiare, ma sembra che le nostre precauzioni siano eccessive. Siamo abbastanza lontani da non essere facilmente notati, ma abbastanza vicini da riuscire a capire cosa stanno facendo.

Immagine 4

Il branco di folli è occupato a sbranare se stesso. Uno di loro, forse qualcuno di più, il più debole del branco, cederà ai troppi colpi. I più forti si coalizzeranno e la lotta caotica si trasformerà rapidamente in un’aggressione di gruppo. Il più debole verrà divorato dai più forti. Il branco perderà un membro, ma prima o poi verrà rimpiazzato, forse proprio dal loro ultimo pasto. I folli hanno solo un istinto che li fa stare vicini. Stare vicini rende più facile trovare cibo.

Immagine 5

Ci allontaniamo senza troppi problemi e continuiamo per la nostra strada.

Camminiamo sotto una leggera ma costante pioggia, con il fango che ci arriva alle caviglie. Avanziamo lentamente e ci fermiamo spesso a riposare. La notte la passiamo su pietre sporgenti o in culle di fango. Il giorno e la notte quasi si fondono ed il tempo si espande in un presente infinito dove l’unica vista è un deserto senza limite e un cielo incolore.

Rimango stupito da quanto, ormai, la realtà che mi è intorno abbia trasceso il possibile. Siamo più simili alle anime dannate dell’inferno dantesco, che a umani.

<< Stiamo andando da qualche parte?>> mi domando.

Immagine 6

Lentamente la linea dell’orizzonte riprende una forma e smette di fondersi con il cielo. E’ una linea scura, ma è già un indizio, un promemoria del fatto che non siamo in un limbo eterno e immutabile, ma su un pianeta fatto di acqua e terra.

Ci vuole un’altra giornata di cammino per trasformare quella linea in una protuberanza lontana e nel frattempo sentiamo il terreno cominciare ad acquistare pendenza. Lentamente iniziamo a rallentare. Ogni passo si fa più faticoso e la terra molle e fangosa non aiuta. Ci rifocilliamo a mani piene dalle pozzanghere sparse nel terreno, affondando le dita nel terreno ed ingurgitando fango pur di calmare la fame. Sempre più spesso sento Giulia muoversi nella notte, la sento lamentarsi. Mi tiene sempre più stretto a se, le unghie quasi arpionate alla mia schiena e la bocca poggiata sulla spalla.

Immagine 7

Dopo altri tre giorni il terreno sembra tornare piano, ma le pozzanghere sono più profonde.  Giulia, in un attimo di debolezza, cade dentro una sprofondando fino al petto. Ci metto un po’ a farla uscire evitando di impantanarmi a mia volta.

Continuiamo raggiungendo un punto in discesa. La pendenza non è troppo elevata, ma comunque pericolosa. Rivoli d’acqua scendono ovunque e l’appoggia alla terra passa dal fangoso, quasi risucchio, a viscido. La pioggia peggiora rapidamente. Il cielo si riempie di fulmini. Il vento inizia a soffiare forte e sembra volerci fare cadere. Pezzi di terreno franano intorno a noi, non sorretti da radici.

<< Dobbiamo spostarci in un posto più sicuro>> urlo per sovrastare il fischio del vento.

Giulia mi è accanto e mi tiene la mano. Camminiamo così per sorreggerci l’un l’altro. Mi indica un punto dall’aspetto più solido. Sembra una sporgenza di pietra, forse è una parte di grotta sprofondata. Ci dirigiamo li.

Immagine 8

Giulia urla improvvisamente di dolore. Alza il piede d’istinto scoprendo un buco profondo sotto la pianta del piede. Il sangue scivola via rapidamente, trascinato dall’acqua, e così Giulia. Il movimento improvviso le fa perdere l’equilibrio. Cade giù, scivolando sul fango. Vengo strattonato, perdo la presa della sua mano, cado.

Immagine 9

Ci troviamo a caracollare nella fanghiglia, travolti da valanghe di acqua e terra. Giulia stava affondando nel terreno mentre il panico la stava assalendo facendola agitare senza sosta. Più si agitava e più si sentiva scendere. Più si sentiva scendere e più si agitava. Una giostra infinita che l’avrebbe condannata ad essere sepolta viva per chissà quanto tempo. Un destino atroce. Soffocare, svenire, risvegliarsi giusto in tempo per soffocare di nuovo. Se mai ne fosse uscita sarebbe stata una folle sbavante e senza senno.

Immagine 10

 

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