Quando la vidi, fui attratto dalla sua capigliatura al vento. La folta e lunga chioma in movimento mi sembrava una forza della natura. Lei, impassibile, si lasciava avvolgere il capo dai folti capelli neri che nel travolgente movimento nascondevano spesso i suoi occhi azzurri. Con un gesto pacato, con la punta delle dita liberava solo le rosse labbra.
Quando arrivò il treno, salimmo nello stesso vagone. La seguii fino a sedermi di fronte a lei. Pensavo che prendesse dalla borsetta uno specchietto o il pettine per sistemarsi ma non lo fece, si limitò a passare le mani sui capelli tentando un vago aggiusto.
Non riuscii a non commentare: – Ma i suoi non sono capelli … Sono la forza della natura che il vento coinvolge.
Mi guardò. Le sue labbra scarlatte si schiusero in un sorriso, rispose: – Esagerato.
– L’ho vista altre volte che prendeva questo treno. – le dissi. Ma era una bugia, serviva solo per continuare a parlare.
– Sì. Lo prendo due volte alla settimana: il martedì e il venerdì.
– Lo prende per lavoro?
– Esatto.
– Lavora poco allora. Il resto della settimana è in vacanza.
– No. Purtroppo lavoro tutti i giorni, ma in posti diversi.
– È una rappresentante di commercio?
– Non proprio.
– Se permette mi presento: Giulio Minori, collaboro con una società di costruzioni. Anch’io lavoro in più luoghi, mi sposto dove sono i cantieri da seguire.
Continuammo a parlare. Mi disse il suo nome: Marina, ma non il cognome. Decidemmo di darci il tu.
Quando scese dal treno, scesi anch’io … Due stazioni prima della mia destinazione. Ma fu inutile. Mi congedò con un sorriso convincente e prese un taxi. Rimasi molto male e per consolarmi mi sedetti a un tavolino del bar e ordinai un amaro. Bevanda appropriata.
Il venerdì speravo di poterla vedere ma un incidente sul cantiere lontano mi impegnò per tutto il fine settimana. Il martedì presi un treno alle cinque di mattina per la direzione opposta a quella del treno di Marina.
Tre settimane di attesa non sono poi molte. Il venerdì arrivai alla stazione e l’incontrai. Non la riconobbi, aveva i capelli raccolti a “coda” che uscivano da un cappellino bianco da fantino che contrastava con la chioma nera.
– Ciao – disse – sorridendo.
Fu solo allora che la riconobbi, sembrava molto più giovane della prima volta. Forse anche per le scarpe da ginnastica bianche e blu, dello stesso colore dei fiorellini stampati sulla stoffa del suo semplice abitino.
La osservavo. Era proprio una donna piacente. Non risposi subito, se ne accorse e, sorridendo apertamente, aggiunse: – Ma sei ancora … Giulio.
Quell’ ancora mi stralunò ancora di più. Ho conosciuto poche donne ironiche. Ma riuscii a rispondere: – Sembri una ragazzina, vestita così … mi sento quasi un pedofilo.
– Non mi dire che sei un prete svestito?
Quest’altra battuta mi spinse a prenderle il viso tra le mani, le schioccai un bacio sulla fronte e risposi: – No. Figliola.
La vidi sorpresa ma sorridente.
Arrivò il treno e salimmo ancora con il sorriso sulle labbra.
Appena il treno si mosse, il suo cellulare intonò una melodia che non riconobbi.
– Buco. Stamattina sono libera – mi disse quando spense il telefonino.
– Vuoi dire che non lavori? Faccio una telefonata e mi prendo anch’io un giorno di libertà.
– Ma come fai? Non devi seguire il cantiere?
– Manderò il mio vice. È un giovane ragazzo che deve fare pratica, sarà contento.
Dopo la telefonata, continuammo a conversare da amici. Strano pensavo ero molto attratto da questa sconosciuta.
Scendemmo dal treno e prendemmo un taxi insieme. Continuando a parlare dimenticammo di dare una destinazione all’autista. Lui partì, svicolò tra il traffico e quando si fermò, Marina rise a squarciagola.
Pagai la corsa e scendemmo.
Per la semplicità del suo vestire, del suo parlare ironico non avrei mai potuto supporre la bravura d’amare che possedeva. Lo scoprii lo stesso giorno.
– Ma dove siamo? Dove ci ha portato? – chiesi incuriosito.
Marina non riusciva a frenare la risata e diceva intervallate frasi sconnesse: – Mi ha riconosciuto … Dopo tanti mesi … sono famosa … Tutto normale, Giulio, mi ha portato al solito posto. – Mi prese una mano e guardandomi negli occhi – Se vuoi possiamo anche continuare.
– Continuare cosa?
Mi prese a braccetto e si diresse verso un portone. Una targa dorata così definiva l’entrata: “L’amico del sorriso” Ristorante e Albergo.
Capii o forse non capii: – È qui che lavori?
Mi guardò e riprese a ridere: – Sì e no.
Pensai è una cameriera, una segretaria. Perché non dirlo?
Entrammo. La ragazza della reception sorrise e disse: – Ciao Marina, oggi sei proprio una sbarazzina.
– Ciao, bellissima. – rispose lei, mentre porgeva la sua carta d’identità. Mi guardò e finalmente capii mentre porgevo la mia tessera alla “bella”.
La ragazza mi dette una chiave e fece sparire le tessere in un cassetto. Senza registrare il nostro alloggiamento sul computer.
Ho frequentato poche prostitute perché il rapporto privo di sentimento amoroso ha sempre limitato la passione. Ma con Marina fu molto diverso. Non era lei a prendere iniziative ma si lasciava andare come se fosse una amante normale, per niente occasionale come le altre. Ma quello importante era che mi baciava sulla bocca con passione, durante il rapporto.
La passione mi travolse e sentivo che non era solo sesso. Mi sentivo molto felice, Marina era parte non solo dei miei sensi e della mia mente ma della mia esistenza Da due volte alla settimana, i nostri incontri diventarono quasi quotidiani. Come due ragazzini camminavamo tenendoci per mano, pizzerie e ristorantini ci rifocillavano. Era la prima volta che mi sentivo “fidanzato”.
Oggi viviamo insieme. Il mio piccolo e disordinato alloggio da scapolo, con la presenza di Marina, è diventato un nido d’amore ordinato.
Da una settimana Marina collabora con una sua amica in una profumeria. Mantenuta da tanti, ora non vuole essere mantenuta neanche da uno solo. Ha cambiato il suo modo di vivere, si è riavvicinata ai genitori; me li ha anche presentati. Credo che forse abbia anche rinunciato alla sua “professione” ma non mi interessa perché la mia vita è cambiata e mi sento completamente realizzato.
Il passato e il futuro sono lontani. Il presente è quello che conta.
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