Questo racconto è pubblicato da Alcheringa Ediziori nella serie “Le Ossidiane” dal titolo: Racconti da Brivido.
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Sono Mario Sillotti, ogni sabato mattina guido l’autobus che collega il mio paese alla città. Questa mattina, raggiunta la periferia mi accorgo che il traffico in uscita dalla città è quasi inesistente.
Un leggero brusio inizia a diffondersi dal fondo dell’autobus. Diventa uno strano rumore, quasi un grugnito. Tra i passeggeri, alcune donne spaventate iniziano a urlare. Fermo il mezzo, anche perché la strada è bloccata da auto vuote con gli sportelli aperti, e vado a vedere cosa succede.
A terra, dietro il penultimo sedile una donna immobile a seno nudo, ha un piccolo bambino rossastro nato da poco che le succhia il sangue da una lacerazione tra le costole fluttuanti.
Penso che sia la madre ma subito dubito perché il viso è quello di un’anziana.
Non ho il coraggio di allungare le mani ma cerco qualcosa che mi possa servire per allontanare il mostriciattolo dalla vittima. Sulla retina portabagagli vedo una valigia con gli angoli metallici di rinforzo e uno scatolo di cartone. Prendo la valigia e colpisco il bimbo alla testa. L’esserino irritato emette un lungo stridio e mi guarda mostrando denti lunghi e affilati. Non perdo tempo, lo colpisco più volte con l’angolo della valigia finche non lo vedo inerte. La donna non dà segni di vita.
Ero proprio seduto vicino alla poverina – mi dice uno sconosciuto – poi mi sono alzato per trovare la rete, il cellulare non ha linea. La valigia è mia.
– Anche lo scatolo? – gli chiedo, alzando gli occhi alla retina per osservarlo, mi sono accorto che lateralmente il cartone è lacerato.
– No lo scatolo era della signora. Era una nonna che andava a trovare i nipotini. Forse dentro ci sono i regali. – guarda lo scatolo – Ma era intero e chiuso quando ho aiutato la signora a sistemarlo su.
Alla vista della donna e del bimbo con la testa fracassata, due ragazze si stringono in un abbraccio di conforto e, non conoscendo la realtà, commentano alternandosi:
– Poverino.
– Ma cosa è successo?
– È stata la donna?
– Che schifo!
– Mi sento male.
Si è avvicinato anche un giovanotto: – Ragazze allontanatevi. Potrebbe essere pericoloso. – poi, rivolgendosi a me – Ma cosa è successo? Sei stato tu con la valigia? Ti ho visto. Perché?
Non rispondo. Sistemo lo scatolo sul sedile. Noto che è arrivato per posta perché ha il foglio di viaggio incollato sul cartone superiore. Lo apro.
Le amiche non si sono allontanate. Alla vista del contenuto una urla: – Che porcheria è? Ma … – in un impeto di coraggio guarda bene il contenuto – Ma è una placenta? Cavolo!
– Ne sei sicura? – le domando.
La ragazza non risponde, ha girato lo sguardo e stringe con stizza l’amica.
– Penso proprio che abbia ragione. Lei frequenta ginecologia. – dice l’altra.
Superando un senso di ripugnanza, continuo a lacerare il cartone per osservare bene il contenuto. Sì, la ragazza aveva ragione, quell’ammasso di carne e sangue sicuramente è una placenta. Ma la cosa strana è un groviglio di fili elettrici che la collega a una scatola nera.
Sott’occhio mi accorgo che la donna ha un fremito, forse non è morta.
Subito dopo assistiamo al cambiamento della nonna seminuda. Il colore della pelle si modifica verso il verde mentre la cute si riga di grossi capillari sanguigni che affiorano dalle membra. La testa perde tutti i capelli, il cervello aumenta di volume e affiora dal cranio colorandosi come i capillari. Per uno studioso assistere allo spettacolo sarebbe stato interessante ma per noi è solo terrore paralizzante. Tutti, me compreso, nella follia della mente aspettiamo, come vittime al sacrificio, la nostra sorte. Ma lo spaventoso mostro non si muove, rimane nella stessa posizione, anche il fremito termina.
Il primo a parlare è il giovanotto, forse il meno impressionato: – Non stiamo qua impalati, provvediamo prima che sia troppo tardi. Leghiamo il mostro. – Con gesto deciso si toglie la cintura dei pantaloni e rivolto verso i viaggiatori urla: – Servono le cinture, presto. Sono per la nostra salvezza.
Mentre si sposta per raccoglierne altre, il pantalone scende. Allunga una mano per fermarlo, poi decide: – Meglio in mutande che morto. – e si toglie l’indumento. È imitato anche da altri ormai sprovvisti di cinghia ai pantaloni.
L’aiuto a legare il mostro. Leghiamo anche il piccolo per precauzione, anche se non si è trasformato e non dà segni di vita.
Solo pochi attimi di calma, poi quello che rimane della donna apre gli occhi. Sono rossi e pieni di sangue. Inizia ad agitarsi ma è ben immobilizzata. Lancia mugolii spaventosi che si propagarono come saette, ma urla di terrore dei passeggeri li coprono subito.
Un nuovo evento zittisce tutti.
Sulla strada quattro uomini con una tuta verde camminano con passo cadenzato, ognuno porta uno scatolo. La grandezza, il colore e anche una striscia gialla lo rendono simile a quello dell’autobus.
Uno degli uomini si ferma a un portone. Allunga una mano verso il citofono. Qualche secondo e il portone si apre, lui entra, un attimo ed esce senza pacco.
Dopo una breve consultazione decidiamo di tornare al nostro paese, con la speranza di trovarlo come l’abbiamo lasciato.
Ho qualche difficoltà a invertire la marcia. Devo avvisare alcune auto che si sono fermate dietro l’autobus. Gli automobilisti sono reticenti ma quando vedono scaricare i due mostri sulla strada, si informano sull’accaduto e decidono anche loro di tornare indietro.
Alle porte del paese raggiungiamo due furgoni di una stessa ditta, la “G.G.&P”. Una piccola scritta rossa chiarisce la sigla: Giocattoli per Grandi e Piccini.
Il paese si sviluppa lungo una collina, molte sono le gradonate che collegano i quartieri alla grande piazza principale, unica raggiungibile con mezzi su ruote. Fermo l’autobus al capolinea. I passeggeri iniziano a scendere. Anche dalla cabina dei furgoni scendono due uomini con la tuta verde e, aperto il portellone, prendono i pacchi con la striscia gialla.
Nella mia mente si ripresenta l’immagine del mostriciattolo, e credo in quella di tutti noi. Un brivido mi corre lungo la schiena.
Come se fossimo una sola persona ci avviciniamo minacciosi agli uomini in tuta. Quando siamo pronti a intervenire, due vigili urbani e il maresciallo dei carabinieri, intuendo le nostre intenzioni, ci fermano.
È piuttosto complicato spiegare perché abbiamo circondato i corrieri e perché alcuni di noi sono in mutande. Deciso a disperderci, il maresciallo chiede rinforzi alla caserma ma l’aspetto e l’immobilità delle tute verdi ci è d’aiuto: ancora di più quando chiede all’uomo più vicino il contenuto del pacco che ha in mano. Non c’è alcuna risposta, la tuta sembra più un manichino che un umano.
Arrivano tre carabinieri e, dopo l’ordine del maresciallo, tolgono lo scatolo dalle mani dell’uomo. Brutta sorte è quella del carabiniere che lo apre, viene aggredito dal piccolo mostriciattolo, cade a terra con il volto e le mani insanguinate. Anche se sconvolto, il maresciallo impugna la pistola e spara alla testa del piccolo rosso. I corrieri rimangono fermi e quando i carabinieri, aiutati dai vigili, li toccano per portarli via, si afflosciano come palloncini bucati. Forse sono solo degli elementari robot da consegna.
Decidiamo di fare una pira con tutti gli scatoli che scarichiamo dai furgoni.
Il carabiniere morsicato non si trasforma in un mostro, le ferite sono superficiali e l’intervento del maresciallo è stato immediato.
La voce dell’accaduto si espande e la piazza si affolla come fosse la festa del paese. Ma c’è solo il fuoco, nemmeno pirotecnico, e mancano il palco e le bancarelle.
Mentre il fuoco distrugge il pericolo immediato, raccontiamo alla gente l’accaduto sull’autobus.
Staremo all’erta ma … oggi è una giornata da vivere, domani chissà.
I mass media non denunciano alcun evento, tutto rimane sotto silenzio.
Tre mesi dopo.
Al Sig. Sillotti Mario.
La invitiamo a ritirare un pacco in giacenza presso il nostro ufficio postale.
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